Etica - La donazione di organi al centro di un’iniziativa popolare che propone un consenso implicito - 22.01.2018 di Maria Grazia Buletti

 

Articolo su Azione - Trapianti: quale modello? - 22.01.2018 di Maria Grazia Buletti

 

La storia del trapianto di organi affonda le sue radici in tempi davvero lontani. Si pensi alla leggenda dei miracoli attribuiti ai santi medici Cosma e Damiano, uno dei quali è il famoso trapianto di una gamba da un morto a un vivente. Il dipinto che lo rappresenta risale al 1443 ed è attribuito al Beato Angelico (La guarigione del diacono Giustiniano, conservato nel Museo nazionale di San Marco a Firenze).

Quando parliamo di trapianti, oggi pensiamo al primo trapianto di cuore realizzato il 3 dicembre 1967 dal chirurgo sudafricano Christian Barnard. E pensiamo alla rivoluzionaria scoperta, nel 1978, della Ciclosporina: un farmaco essenziale impiegato per bloccare il rigetto dell’organo trapiantato. Quando parliamo di trapianto parliamo di donazione di organi, in un complesso discorso che abbraccia aspetti simbolici, etici, sociali, medici e legali.

Anche i numeri parlano chiaro: a giugno 2017 in Svizzera, 1502 persone erano in lista d’attesa per uno o più organi; nel 2016 sono decedute 78 persone prima di ricevere un organo. Il tasso di donazione elvetico è attorno a 13,2 persone per milione di abitanti: circa la metà per rapporto ai Paesi limitrofi come Francia, Austria e Italia, e un terzo rispetto alla Spagna. Questi dati dimostrano che in Svizzera vige un’insufficiente disponibilità di organi da trapiantare.

Con l’obiettivo di incentivare le donazioni, il movimento Jeune chambre internazionale Riviera ha lanciato un’iniziativa (sostenuta da Swisstransplant) che mira all’introduzione del consenso presunto: un modello già in vigore in diversi Stati europei, secondo cui il prelievo di organi sarà sempre consentito in assenza di un rifiuto esplicito espresso in vita e sottoscritto in un apposito registro.

La sensibilità della popolazione ruota attorno a parecchie domande: da un lato le giovani generazioni che, forse, hanno meno paura di parlare della morte; dall’altro c’è chi si chiede se questa sia la via migliore per incentivare la donazione, chi si interroga sul concetto di «donare, io ti dono» per rapporto al «prendere se non ti dico che non puoi prendere», mentre altri pongono la questione su «siamo pezzi di ricambio o esseri umani?». Rimane la complessità del tema per il quale, se l’iniziativa dovesse raccogliere le firme necessarie, il popolo svizzero dovrà esprimersi.

«La difficoltà per quanto attiene alla donazione risiede nel fatto che ruota attorno alla necessaria diagnosi di decesso (morte cerebrale), in un momento in cui i famigliari del possibile donatore sono in una delicatissima situazione per rapporto alla loro tragedia del lutto», il dottor Roberto Malacrida è consulente etico per Swisstransplant, vicepresidente della Commissione etica dell’EOC, già professore di etica alle Università di Ginevra e di Friburgo ed è a lui che chiediamo di aiutarci a dipanare una matassa molto controversa, nella quale risulta subito chiaro che il bandolo sta in un concetto fondamentale esprimibile in due parole: fiducia e comunicazione.

«In realtà l’introduzione del consenso presunto per incentivare la donazione potrebbe trarre in inganno: ad esempio, in Ticino è sempre stato in vigore il consenso esplicito (ndr: modello in vigore in Svizzera con la Legge federale sul dono d’organi del 2007), e prima del 2007 a Zurigo vigeva quello del consenso presunto. Ciononostante, il nostro cantone si è sempre distinto, e si distingue, per maggiore numero di donatori rispetto al resto della Svizzera». Il nostro interlocutore non si dice contrario alla sua introduzione, ma ritiene che l’incentivo alla donazione passi per altri canali: «La donazione di un organo, in particolare quella del cuore, simbolicamente, è legata alla donazione della vita e bisogna rispettare la sensibilità di tutti, soprattutto in momenti così delicati e drammatici che vedono i parenti di un potenziale donatore affrontare una realtà così difficile che è quella della morte del loro caro».

Il dottor Malacrida, che insieme al professor Sebastiano Martinoli è uno dei fondatori della cultura della donazione in Ticino, racconta della sua grande esperienza di curante: «Comunicazione e fiducia reciproca fra curanti e famigliari sono fondamentali e occorre una grande sensibilità, unita alla preparazione adeguata di tutto il personale curante ad affrontare il tema con la famiglia». Egli spiega che l’unica persona in diritto di decidere per se stesso è il paziente: «Sarebbe importante redigere le direttive anticipate, ed esprimere in vita la propria disponibilità alla donazione, in modo che i parenti chiamati ad interpretare la volontà del loro caro possano darvi seguito».

Ma non sempre si conoscono gli ultimi desideri del paziente, in questi casi Malacrida metteva in atto una sorta di indagine: «Ho sempre invitato la famiglia a ricostruire una narrazione del loro caro, per comprendere cosa avrebbe detto se fosse stato capace ad esprimere la sua volontà. Li lasciavo andare a casa almeno una notte, in cui i famigliari parlavano del loro caro e arrivavano al mattino, chi più e chi meno, convinti di interpretarne bene i suoi desideri». Un buonsenso e un rispetto che paiono prevalere sulla proposta di legge: «Sono cosciente che i chirurghi trapiantatori, ma anche i nefrologi, i cardiologi e gli epatologi, che hanno sotto gli occhi le sofferenze dei loro pazienti nelle troppo lunghe liste d’attesa, tendano a far prevalere il modello del “consenso presunto”. Non dimentichiamo però che siamo di fronte a chi è morto e a chi sopravvive (i parenti), che ha il diritto di elaborare il proprio lutto senza coni d’ombra, anche se possiamo affermare che nessuna famiglia che ha dato il consenso al prelievo si sia mai pentita di averlo fatto, mentre sovente vale il contrario».

Fondamentale la fiducia fra curanti e parenti, più volte ribadita: «Apertura totale dei Reparti di Cure intensive ai parenti, fiducia reciproca fra infermieri e medici, facilitano il dialogo anche su temi così complessi come questo». Creare un’atmosfera positiva e di consenso nell’ambito della donazione di organi in un dialogo che passa per la comunicazione corretta, empatica ed esaustiva dei curanti nei confronti dei parenti del potenziale donatore. Questa, insieme alle solide fondamenta di una fiducia reciproca fra medici, paziente e parenti, sarebbe secondo il dottor Roberto Malacrida la strada etica, medica, sociale e filosofica verso una sana cultura della donazione di organi da trapiantare.

 

Articolo originale su: http://www.azione.ch/societa/dettaglio/articolo/trapianti-quale-modello.html

 

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